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Guardare l’altro con occhi diversi

A chi non è capitato di trovarsi faccia a faccia con il proprio vicino di casa, magari fuori il portone quando rovisti nella borsa per cercare le chiavi, oppure in ascensore mentre porti su la spesa o mentre stai parcheggiando l’auto giù in garage. Nella maggior parte dei casi l’unico sentimento che si affaccia sui nostri volti è l’imbarazzo, o peggio ancora, l’indifferenza. Ci si limita a salutarsi velocemente e poi ognuno torna a nascondersi dietro le proprie finestre per spiare il suo vicino avversario. Studiamo le sue mosse, sappiamo i suoi orari, conosciamo i suoi rumori eppure non sappiamo cosa mangia, che musica ascolta (dipende dal volume), quali sono i suoi libri preferiti o le persone che frequenta. Ci preoccupiamo di lui soltanto nel caso in cui la sua, ai nostri occhi, futile vita inciampa fatalmente nella nostra per qualche briciola sul terrazzo, per l’acqua che sgocciola dal soffitto, per l’orario dei termosifoni o altre simili inezie di vitale importanza. E se invece, anche solo una volta, provassimo a fermarci a riflettere che quella persona che abbiamo davanti, in fondo, non è poi così diversa da noi? Se la smettessimo di puntare il dito e di cercare il nemico sempre fuori da noi stessi? Potremmo rimanere molto delusi.

“La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri”: ebbene non c’è scritto che occorre delimitare con dei paletti ciò che è nostro e ciò che non lo è e guardare l’altro come un nemico, ma che le nostre libertà si confondono le une nelle altre attraverso delle sfumature. Se ci sforzassimo di rompere le rigide barriere che ci siamo costruiti per metterci al riparo dal mondo esterno e riuscissimo ad entrare in osmosi con l’altro, il diverso, il vicino di casa saremmo anche capaci di guardare “oltre la siepe”, proprio quella che non permetteva a Leopardi di contemplare il suo infinito. A volte ciò che sembra un limite può rivelarsi una risorsa inestimabile. Un grande insegnamento ce l’ha lasciato in eredità la scrittrice statunitense Harper Lee, scomparsa il 19 febbraio 2016 all’età di ottantanove anni, con il suo romanzo cult della letteratura contemporanea Il buio oltre la siepe.

Premio Pulitzer 1960, il romanzo narra del clima di paura, di discriminazione e odio razziale contro i neri che si respirava nell’Alabama degli anni Trenta. Scout, giovane ragazzina e voce narrante, e suo fratello Jem sono figli dell’avvocato Atticus Finch, di sani principi morali, a cui viene affidata la causa di Tom Robinson, un bracciante nero accusato ingiustamente di violenza sessuale su una donna bianca. Nonostante la sua innocenza e l’assenza di prove certe, il tribunale deciderà di condannarlo e di farne il capro espiatorio della società. Il nero è stigmatizzato, fa paura perché è diverso e non ci si sforza di capirlo perché sappiamo inconsciamente che la sua è una posizione di inferiorità. Ma, scrive Harper Lee, che “non si conosce realmente un uomo se non ci si mette nei suoi panni e non ci si va a spasso”.

L’insegnamento di Atticus darà i suoi frutti nel riconoscere il loro vicino di casa Boo, tipo strano e solitario che non esce mai, una persona amica e fidata che alla fine del romanzo salverà la vita dei due ragazzi. La sua figura, contornata da un alone di mistero, aveva contribuito ad accrescere molte fantasie sul suo conto e ad alimentare i pregiudizi fino al giorno in cui decide di entrare in azione e mostrare la sua vera natura. Boo li ha osservati per anni dietro a una finestra, li ha visti crescere, giocare ed è vissuto segretamente insieme a loro. Dovremmo imparare da questi due bambini a superare i paletti mentali che ci imponiamo, a non giudicare dalle apparenze o dal colore della pelle, a non aver paura dell’altro e ad accettare il cambiamento. Vedere l’altro non come un nemico, ma come un’opportunità per migliorarci e arricchirci. Infatti l’autrice fa dire ad Atticus: “Ma prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l’unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza”.

Per stare bene con gli altri si deve star bene prima di tutto con se stessi. Questo ce lo insegna anche Mersault, protagonista del romanzo L’etranger di Camus (1942), che sperimenta l’assurdo nel divorzio tra Dio e il mondo e finisce per diventare un estraneo a tutti perfino a se stesso. Ci piace pensare che dentro casa siamo protetti e ci sentiamo al sicuro ma la vita vera è fuori, dietro quelle finestre, oltre il portone di casa. Harper Lee ci spinge ad andare oltre la siepe che ci separa dagli altri per vedere cosa c’è dietro e a non aver paura del buio perché non sempre nasconde il male.

Non sarebbe bello se, per esempio, domani mattina potessimo sorridere al nostro vicino incontrato casualmente sul pianerottolo oppure riuscire a conversare tranquillamente in ascensore senza guardarsi le punte delle scarpe? Chissà magari potrebbe capitare a un uomo di innamorarsi della cosiddetta ragazza della porta accanto oppure una donna che si immedesimasse nei panni di Audrey Hepburn potrebbe sognare di far innamorare un giovane e avvenente scrittore come in Colazione da Tiffany. Cari condòmini,  da domani provate a guardare l’altro con occhi diversi, come se foste proprio voi quelli lì fuori, anche con gli stessi difetti, e se riuscirete a perdonarvi qualche piccola dimenticanza avrete scavalcato il muro dell’indifferenza, della paura e dei pregiudizi perché in fondo “quasi tutti sono simpatici, Scout, quando finalmente si riescono a capire”.

 

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